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Martedì, 30 Aprile, 2019
regime c.d. “forfetario” – Spese di trasferta

Uno degli aspetti da valutare in relazione al regime c. d. “forfetario” è quello che riguarda le spese di trasferta.

Si segnala infatti che l’articolo 54, comma 5, T.U.I.R., prevede che i costi sostenuti da un lavoratore autonomo al di fuori della propria sede per l’esecuzione di un incarico, non costituiscono compensi in natura, se sono pagati direttamente dal committente.

Al contrario, se il professionista sostiene in proprio i costi e poi procede al riaddebito al cliente, tali somme costituiscono compensi, che, in quanto tali, costituiscono il fatturato, e che, quindi, potrebbero contribuire al superamento del limite e determinare l’uscita dal regime, soprattutto per i soggetti il cui fatturato è prossimo all’attuale limite massimo di 65mila euro

 

Il trattamento delle spese di trasferta (vitto, alloggio e viaggio) nel rapporto tra professionista e cliente/committente, può essere stabilito in due modi:

 

  • Il committente sostiene tutti i costi della trasferta. I documenti di spesa nominativi devono essere intestati direttamente al cliente, mentre per quelli non nominativi deve essere attestabile che al pagamento ha proceduto il committente. In tal caso, i costi sono deducibili dal committente stesso, mentre il professionista non registra né costi né compensi in relazione a tale voce. E’ opportuno che l’obbligo del committente di sostenere direttamente i costi di trasferta sia specificamente indicato nella lettera di conferimento dell’incarico.
  • Il professionista sostiene i costi della trasferta, per poi addebitarli al committente. In questo caso, il professionista deduce integralmente i costi sostenuti (se gli stessi sono indicati analiticamente nella fattura emessa nei confronti del cliente); gli importi addebitati al committente rappresentano compresi che incidono sulla determinazione della soglia massima di fatturato ai fini del regime forfetario (per il 2019, pari a Euro 65mila).