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Giovedì, 3 Aprile, 2014
Cessioni all'esportazione

La prova dell'uscita dei beni dal territorio comunitario rappresenta l'elemento decisivo per accertare la non imponibilità delle cessioni all'esportazione. Dall’1/7/2007, il sistema di controllo delle esportazioni è informatizzato (Ecs) e fondato sullo scambio di messaggi elettronici fra la dogana d'esportazione (in cui è accesa la pratica doganale con il rilascio del documento d'accompagnamento della merce, Dae, che riporta il numero di riferimento dell'operazione, Mrn) e quella di uscita dalla Comunità. Espletate le formalità, l'ufficio doganale di uscita invia a quello d'esportazione il messaggio telematico con i «risultati di uscita». Nel nuovo sistema automatizzato, questo messaggio rappresenta la prova dell'uscita della merce dal territorio comunitario e la conseguente legittima applicazione del regime di non imponibilità Iva della cessione, sostituendo l'attestazione di esportazione costituita dal «visto uscire» sul documento cartaceo. Tutto ciò vale per le operazioni di cessione regolate dall'articolo 8, comma 1, lettera a), del Dpr 633/72, ossia per le cessioni all'esportazione dirette semplici (non triangolari) e senza l'intervento di un commissionario, in cui è il cedente nazionale che cura il trasporto/spedizione all'estero. La regolarità dell'operazione, invece, deve risultare dalla vidimazione sui documenti in caso di cessioni in triangolazione (o di vendite tramite commissionario), disciplinate sempre dall'articolo 8, comma 1, lettera a), del Dpr 633/72 (nota delle dogane 3945/2007), o in caso di cessioni all'esportazione "indirette" di cui alla lettera b) dell'articolo 8. In queste operazioni è il cessionario non residente che cura il trasporto/spedizione dei beni fuori del territorio comunitario, direttamente o conferendo l'incarico a terzi. La norma prevede che i beni siano esportati fuori della UE, nello stato originario (senza lavorazioni), entro 90 giorni dalla consegna al cessionario, risultante da apposito documento o, in mancanza, dalla fattura (circolare 26/79).

Il fatto che l'esportazione vada eseguita entro un limite temporale, pur non contrastando con la normativa europea (Corte di giustizia, causa C-563/12) e sempre che il mancato rispetto di questo termine non privi definitivamente l'operatore del diritto alla non imponibilità se l'esportazione è comunque avvenuta (conforme è la posizione della circolare 23/E/1999, ma non quella della circolare 50/E/2002), rende comunque queste operazioni assai rischiose. Per evitare di dover regolarizzare l'operazione a proprie spese (pena la sanzione dell'articolo 7, comma 1, del Dlgs 471/97), versando nei 30 giorni successivi l'imposta non applicata (previa emissione di fattura integrativa per sola imposta), le imprese provano a cautelarsi chiedendo il rilascio di una somma a titolo di cauzione pari all'importo dell'Iva eventualmente da pagare, se il cessionario estero (comunitario o no) non fornisce la prova dell'esportazione nel termine indicato. Questa prassi appare corretta. Non sembra altrettanto legittima, invece, la procedura di emettere dapprima la fattura con Iva e, solo in seguito, ricevuta la prova dell'esportazione, la nota d'accredito per l'imposta. La fattispecie, infatti, non sembra rientrare a pieno titolo fra le ipotesi dell'articolo 26 del Dpr 633/72.